Introdotto per la prima volta nel jazz da Art Tatum, e reso quindi popolare da Nat King Cole, il trio “pianoforte–chitarra –contrabbasso” ha forse toccato il suo punto più alto a metà degli anni Cinquanta con Oscar Peterson. Questo piccolo “combo”, di chiara impronta cameristica, benché poco usato sia nel bop moderno che nel jazz d’avanguardia, ha superato la prova del tempo e sembra esser recentemente tornato di moda con il trio composto da Ron Carter, Mulgrew Miller e Russell Malone. Il contrabbassista russo Yuri Goloubev pare trovarsi parecchio a suo agio con questa formazione se è vero che, dieci anni dopo aver pubblicato “Standpoint”, con Roberto Olzer al pianoforte e Fabrizio Spadea alla chitarra, è tornato ad utilizzarla in “Trionomics”. Per questa nuova ed ispirata seduta di registrazione, che ha avuto per cornice la splendida Sala dell’Ermellino di Francesco Micheli, a Milano, Goloubev ha scelto come compagni d’avventura il pianista abruzzese Michele Di Toro – con cui condivide una lunga esperienza artistica, sia in duo che in trio, ed il chitarrista norvegese Hans Mathisen. Da un “drumless trio” ci si sarebbe potuti aspettare una sequela di standard, arrangiati magari in modo personale, ed invece si rimarrà sorpresi nel trovare ben dieci brani originali, quasi a voler sottolineare che questa formazione è tutt’altro che datata o rivolta nostalgicamente al passato. Nella loro musica, lontana dal mainstream convenzionale, si possono trovare echi di Bill Evans ma anche di Lennie Tristano, che ha guidato un analogo trio con Billy Bauer a metà degli anni Quaranta. È curioso notare infine come l’unico brano non suonato in trio, The Call, un piano solo di Michele Di Toro eseguito in chiusura dell’album, sia stato composto da Yuri Goloubev. Raffinata eleganza e fertile creatività qui sembrano davvero complementari e per nulla in conflitto.