Il jazz è un po’ come l’amore: una questione di intensità e gioia. Che si ascolti un pezzo romantico o si legga una poesia di Shelley, si condivide il dolore o l’euforia dell’autore. Ed è proprio la comprensione di questa dicotomia di passione e controllo a rendere questo album così coinvolgente.
Jeremy Pelt ha scelto brani dalle più svariate sfaccettature, proprio come una storia d’amore: diretti, sommessamente senza fiato, maliziosamente piacevoli o dotati di un discreto fascino latino. Questo si potrebbe considerare un album “di archi”, ma Pelt non lo fa mai sconfinare in un eccesso di vibrati. C’è un’atmosfera insolitamente classica, con il quartetto d’archi che sostiene, rinforza e commenta la tromba di Pelt, invece di edulcorarla. Come disse una volta Buddy Rich: “Il jazz dovrebbe essere trattato come la musica classica”. Aveva ragione e, a quanto pare, Pelt condivide questa opinione.
Feat. Jeremy Pelt (tromba), Victor Gould (piano), Buster Williams (contrabbasso), Billy Hart (batteria) e Chico Pinheiro (chitarra in un brano).